Brahms, al pari di Dostoevskij, è fermamente convinto che la “Bellezza” sia l’unica via di salvezza dalla ineluttabile e circolare poliedricità del destino. La “Bellezza”, in Brahms, non è come in Mozart (eterea, luminosa persino nelle sue inevitabili tinte dolorose e priva di ogni materialità terrena) o in Beethoven (ostinatamente lacerante) o, ancora, in Chopin, che se ne serve per nascondere i fantasmi ispiratori della sua stessa musica. Brahms scrive la Quarta ed ultima delle sue Sinfonie nel 1884 all’età di 52 anni, ormai nel pieno di una maturità etica e musicale che per lui significa solo inevitabile consapevolezza di sé e del mondo inteso come destino. Per scrivere la Quarta Sinfonia, Brahms ricorre alla sua indubbia esperienza di compositore consumato ma, diversamente dalle Sinfonie precedenti, la sua raffinata tecnica compositiva è tesa a raggiungere qui uno scopo tutt’altro che puramente musicale: ora è pronto a contrapporre al destino, ad un tempo magnanimo e beffardo, le sue due uniche ma potenti armi: la “Bellezza”, per sedurre, e la “Magia”, per dissimulare. L’universo sonoro e architettonico della Quarta Sinfonia è come una immensa cattedrale Gotica che ha in sé tutti gli elementi per bastare a se stessa: l’austerità della forma, la levigatezza di alcuni tratti che contrasta con la spigolosità talvolta indecifrabile di altri e ancora la straordinaria molteplicità dei sentimenti che, intrecciandosi, essa ispira, rifugio dalla caducità del mondo esterno e sovrumano timore per quello serafico e misterico che regna sovrano all’interno. I quattro tempi di cui è composta la Quarta Sinfonia, sono accomunati, pur nella loro logica ed inevitabile diversità di carattere, da una linea vitale che li lega saldamente l’uno all’altro per scongiurarne ogni possibile forma di discontinuità.
IL PRIMO TEMPO, “Allegro non troppo”, è costituito da un inciso iniziale di intervalli discendenti ed ascendenti, che rimane scolpito nella mente di chi lo ascolta anche solo per la prima volta, poiché richiama ad una costante invocazione all’infinito che, dopo un breve ma intenso slancio iniziale, ricade solo per riprendere le forze necessarie per successivi slanci. Tutto il primo movimento è costantemente percorso da questa idea che viene contrastata da un secondo tema di opposta natura, ma necessario per ricordare a Brahms gli ostacoli da sormontare per dipanare la sua musica dalla circolarità del mondo esterno.
IL SECONDO TEMPO, “Andante moderato”, si apre con un tema arcaico di difficile identificazione e affidato costantemente al corno, al clarinetto ed alle viole che ne determinano così il colore scuro e sfuggente. E’ interessante notare il ruolo degli strumenti portatori di luce che orbitano intorno al tema principale e che invece di contrastarlo lo avviluppano in spirali luminescenti come nel tentativo di proteggerlo, indicando ad esso la strada da percorrere.
IL TERZO TEMPO, “Allegro giocoso”, ha qui il significato di una danza rituale che ha il compito di dipanare gli intrecci dei due movimenti precedenti e preparare la strada per il successivo, ultimo movimento.
Non deve trarre in inganno l’apparente carattere spigliato di un brano che, al contrario, nasconde nei suoi sotterranei segreti difficili da portare in superficie ed esporre alla luce sfavillante e al ritmo incalzante dell’intera composizione.
Brahms si serve di questo pezzo per dire che la sua opera è compiuta solo per metà: è nell’ultimo movimento, infatti, che la Sinfonia trova la sua vera ragion d’essere.
IL QUARTO TEMPO, “Allegro energico e passionato”, è lo specchio della vita stessa: non migliora, ma si limita invece a trasformarsi e nella sua costante metamorfosi trova la sua bellezza ed insieme la sua bruttezza.
Brahms si serve qui di una tecnica compositiva detta comunemente “variazione” ma che in questo preciso contesto assume il significato più esteso di trasformazione e di ritorno costante alle origini come necessità di una sua propria identificazione. La continua e sapiente trasformazione del tema iniziale raggiunge vette di sovrumana bellezza persino nelle regioni dove il suono degli strumenti appare più aspro ed ardito nelle sue tessiture estreme e dove l’armonia ha l’oneroso compito di garantire solidità ad una struttura così imponente e con repentini cambiamenti ritmici ed umorali.
Ancora una volta Brahms porta con sé le armi della “Bellezza” e della “Magia” dei suoni e delle architetture a lui più congeniali per creare un capolavoro destinato a vivere nel tempo e con il tempo, che da implacabile nemico si trasforma in un necessario compagno di viaggio.
(estratto dal Libretto di Sala del Concerto con la Philharmonia Orchestra di Londra, Antonio Puccio Direttore)
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